Il bandolo della matassa IN SCENA VERITAS
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DATE:

Venerdì 5 febbraio 2016, ore 21:00

Piccola Accademia, via Castellini 7, Como

IL BANDOLO DELLA MATASSA

Liberamente ispirato a Zorro – Un eremita sul marciapiede di Margaret Mazzantini

PER ADULTI E SCUOLA SECONDARIA

Regia e adattamento scenico: Maria Elisa Calderoni, Alessandro Chieregato, Massimo Giacomantonio
con: Alessandro Chieregato

I barboni sono randagi scappati dalle nostre case, odorano dei nostri armadi, puzzano di ciò che non hanno, ma anche di tutto ciò che ci manca. Perchè forse ci manca quell’andare silenzioso totalmente libero, quel deambulare perplesso, magari losco, eppure così naturale, così necessario, quel fottersene del tempo meteorologico e di quello irreversibile dell’orologio. Chi di noi non ha sentito il desiderio di accasciarsi per strada, come marionetta, gambe larghe sull’asfalto, testa reclinata sul guanciale di un muro? E lasciare al fiume il suo grande, impegnativo corso. Venirne fuori, venirne in pace. Tacito brandello di carne umana sul selciato dell’umanità“(da Zorro di M. Mazzantini)

Un uomo si racconta: fastidioso, buffo, comico, arrabbiato e dolente. Porta stretto il suo trauma e ce lo svela piano fra una battuta e il morso di una parola.

Un senzatetto è una scabrosità che ci appartiene, un timore remoto, celato in noi tutti, di perdere i fili e mollare il mondo regolare. I barboni odorano di ciò che si ha paura di perdere, bevono, ti urlano contro, a volte ti ignorano, straparlano e si portano la loro umanità alluvionata per strada. Si appartano dalla vita, sbracano; ci ricordano che un filo separa la normalità dal marciapiede.

Quando è stato che mi sono ingarbugliato? Quand’è che la matassa s’è intricata?…tutti i fili erano lì, davanti ai miei occhi, regolari, un po’ noiosi ogni tanto…ma ci stava…poi si sono aggrovigliati, non me ne sono accorto subito, ho visto i fili attorcigliarsi, arruffarsi…e ho perso il capo, il bandolo. Ecco…il bandolo…sembra che lo trovo…poi no…no, non lo trovo…

E’ il corpo a corpo di un attore con se stesso, un monologo dove è permesso sgangherarsi, essere narratore della propria storia e di mille storie, struggente e volgare. Sulla scena nuda, le mutevolezze di Zagor ritmano il movimento del corpo, scandiscono i cambiamenti; il gesto dell’attore si prolunga nel gesto d’uomo e la musica è lì, nello stare lì, nel farsi cassa armonica per quel misto di luce e polvere che siamo.

“Mangio, un piccione mi caga in testa “porta fortuna…””… “secondo te?!?”